mercoledì 8 ottobre 2014

Icaro

Buon giorno cari lettori!
Si, è quasi mezzanotte, lo so... ma la vita INIZIA ORA!
La smetto. Scusate. 
Primo post di ottobre: iniziamo strong!
Besos :*

Colpire, incanalare, colpire.
Respiro. Incanalare. Colpire.
Più forte di prima.
Aida affrontava così la realtà. Colpo dopo colpo. Mischiando lacrime e sudore, dolore e fatica.
Colpiva finché le bende sui palmi non diventavano porpora, la fatica non usciva da ogni poro, le gambe non si spezzavano al suono della sua violenza, irriconoscibile. 
Quella volta, peggio delle altre.
La memoria la stava ingannando. Di nuovo. Ricordava quanto era stato vano ogni tentativo di riscatto, come la vita chiedeva sempre il suo tornaconto, diventando strozzina di se stessa. 
Un ricordo. Un sorriso.
Quella volta, era toccato ad un sorriso particolarmente bello l'arduo compito di sconfiggere la fortuna.
Un sorriso a braccetto con occhi magnetici, lineamenti decisi e chioma indomita, come il carattere del proprietario. E la sua attitudine al mentire, al tradire, al cercare il proprio guadagno, sosia indiscusso della stessa stronzissima vita. Forse un po' anche di lei.
Colpo. Respiro.
Denti digrignati che risuonano nella sala, vuota.
A terra ancora i cocci dello specchio, rotto... quanto tempo prima? Non sapeva dirlo con certezza. Di certo non era volato, anzi: ogni secondo bruciava di più, ogni minuto affondava la sua brama di sangue nel suo cuore. Povera Aida, impotente tentava di combattere quel cesaricidio; il suo cuore, o quello che ne rimaneva, aveva preso il controllo della mente. Al contrario dell'immaginario collettivo, il cuore è malvagio, la mente è impotente. È la memoria del cuore che frega, non la memoria oggettiva. 
Un altro ricordo. Un attimo, un flash. Icaro. 
Lui volò in alto, tanto in alto da precipitare. Peccato non fosse donna, si sarebbe immedesimata meglio nel ruolo...
Era sicura di esserne la reincarnazione ultimamente. Anzi, non solo negli ultimi tempi: solo allora ne aveva constatato la consapevolezza, aveva testato in modo oggettivo la cosa. Ma l'aveva sempre saputo. 
L'ennesimo colpo le risuonò dentro, le sue mani suonavano il sacco fino alle lacrime.
La verità, semmai essa fosse mai esistita, era che Aida teneva troppo alle cose, alle persone, alla vita. Quasi come se per questo l'animo volesse punirla... Ahi! Ti sei avvicinata alla felicità, torna indietro!
L'ennesimo sorriso irruppe nei suoi pensieri. Prepotente anche nelle menti altrui.
Un sorriso famelico. Simile a quello di lui? No. Peggio. Era la consapevolezza, di nuovo. A volte ritornano.
Ma una nuova consapevolezza, più legata al concetto generale dell'esistenza.
La vera ipocrisia non è esterna, ma interna.
Lei era ipocrita nei confronti di se stessa: ipocrita nel dirsi che non era vero, che poteva migliorare, ipocrita con gli altri sorridendo alla vita e ingoiando il boccone amaro esclamando "e Vabbè!".
Così erano ipocriti anche i suoi parenti, che sorridevano solo quando serviva loro per qualcosa, e gli "amici", anch'essi ipocriti, già, altrimenti non li avrebbe ricordati come tali, e non avrebbe posto le virgolette al loro nome. Tutti convinti di essere un gradino più avanti rispetto a lei, con più esperienza, o più carisma. Sempre qualcosa in più. 
Lei era l'eterna seconda. 
Poteva fare qualunque cosa per tentare di migliorare, ma seconda era e seconda sarebbe rimasta.
Bugiarda. Ipocrita. Di nuovo.
Tirò un altro pugno. Peggiore dei precedenti, squarciò il bendaggio rudimentale sul suo polso e fece andare a sbattere il sacco contro il muro, lasciando un buco.
In quel momento un uomo muscoloso entrò nella saletta angusta. Chiuse la porta, incrociò le braccia.
- Ti dovresti medicare. -
Lei lo ignorò. Tirò un calcio,  creò un'altra crepa.
- Mi stai distruggendo la palestra. -
- Te la ripago. - Le uscì qualcosa a metà tra un grugnito ed un gemito soffocato; di certo non riconobbe la sua voce. 
Lui le aveva tolto anche quella?
A forza, con l'ipocrisia, la menzogna. Elementi sempre presento nella sua vita - probabilmente era lei a coltivarli, ecco perché tanta cattiveria. Forse avrebbe dovuto fare l'attrice... Ipocrita era ipocrita. 
Il tradimento? Questa era la sua giusta punizione? Amore malato? Definizione simile ad una bestemmia, tanto le risuonava forte nei timpani.
Anzi, marcio. Come lei e le sue bugie. 
Quel pensiero scatenò il mostro che tentava di reprimere da tutto il pomeriggio. In un raptus racchiuse tutta l'energia che riusciva a raccogliere e colpì il sacco. Questo, già vecchio e malandato, si staccò dal soffitto e irruppe nel pavimento scheggiato da anni di sudore.
- Merda. Te lo ripago. -
- Lo hai già detto... -
Si finse noncurante. Si legò i capelli e andò al tapis roulant, attivandolo al massimo della velocità e impostandolo sulla pendenza del Monte Bianco. Un suicidio in condizioni normali, ma lei non era normale. Non più almeno.
Era un'ameba di quello che era stata.
Aveva puntato in alto, simile ad Icaro. Ci aveva provato. Sempre.
Aida, la migliore. In qualcosa, qualunque cosa, che non fosse la stupidità. Utopia a quanto pare.
Aveva studiato per un 100 e lode, ottenendo un 88. 
Aveva lavorato per avere quella promozione, e invece l'aveva avuta la segretaria che andava a letto col capo.  (Anche se ci fosse andata lei, non l'avrebbe ottenuta: avrebbe avuto davanti a sé la moglie.)
S'era fatta in quattro per far sopravvivere la sua relazione, e ne aveva ottenuto solo il suo totale annullamento ed abbandono.
Ed in quel momento tentava di fare il tapis roulant al massimo, col risultato che se non fosse arrivato Fabrizio ad toglierle la sicura sarebbe inciampata su se stessa e sarebbe ruzzolata giù. 
- Basta. A questo ci tengo. - Tentava d'ironizzare, con sguardo serio.
- A me no? - scherzò Aida.
Gay da generazioni. Ovvio, era l'uomo ideale. Era una forma d'ipocrisia anche quella?
- Smettila. -
Aida lo ignorò. Scese dalla macchinetta infernale e andò a raccogliere la maglia. Le scivolò dalla tasca il cellulare - inutile dirlo, di seconda categoria, che ironia il destino! - e vide la loro foto. Non aveva avuto tempo di toglierla. 
- Mi devo comprare un nuovo cellulare. -
Lo scagliò contro lo specchio  ancora integro. Andò in frantumi.
- Inviami il conto a casa. -
Fabrizio la chiamò. Non si voltò. 
Non aveva meta. Senza cellulare,  più svestita che coperta, grondante di sudore. Aveva anche i crampi allo stomaco - non sapeva nemmeno uscire con stile, barcollava. 
Icaro era precipitato, bruciato dal sole.
La gente iniziò a guardarla male. All'inizio pensava fosse colpa del top striminzito che sembrava un reggiseno, o forse delle sneaker giallo fluo. Solo quando però le guardò, e vide la macchia scarlatta, si ricordò della mano sanguinante e impallidì. La fissò come se si fosse dimenticata anche di aver sempre avuto un arto nella parte destra del corpo. Provò a muoverla, represse un grido. Faceva male.
Proprio come le sue bugie. Fino a che non le guardi non le noti. È quando le scopri che bruciano. 
Il sole.
- Signorina - la scrollò un vecchietto sprezzante del pericolo. Aida si guardò attorno: tutti i presenti la stavano fissando.
Lei sbarrò gli occhi, fece un passo indietro. - Io... -
Corse via. Di nuovo, stavolta più consapevole di tutto. Illuminata come il filosofo della grotta platonica. Bagnata dal sole come la canzone di Noemi. 
Senza nemmeno volerlo si ritrovò davanti alla casa che aveva ospitato quella specie di amore malsano per troppo tempo,
Le chiavi. Il maglioncino. La mano sana. Grazie al cielo.
Come un'automa aprì il portone. Gettò a terra chiavi e maglione. Atterrarono accanto alle prime gocce di sangue, sul pavimento. Doveva medicarsi.
No. Prima doveva chiudere il cerchio, lasciare un addio a Dedalo prima di perire. D'illuminarsi d'immenso.
L'indomani lui sarebbe passato a prendere le sue cose. Gli avrebbe lasciato un ricordino.
Prese il quadro che le aveva dipinto e lo ruppe sulla sedia che aveva rivestito. Strappò le foto che aveva scattato, le altre le gettò nel camino che aveva pulito maniacalmente. Stracciò tutte le carte che le aveva stampato su come rimanere a dieta, distrusse la tazza che le aveva rinfacciato per tre anni perché troppo "da bambini". Bell'adulto lui.
Gettò i vestiti che le aveva criticato sul terreno, li schiacciò coi libri che le aveva letto ad alta voce "per cultura". Roba pallosa. 
Suppellettili, libri, DVD, vestiti, memorie, ricordi, troppe cose sue, dovevano essere rimosse per poter sopravvivere. 
Icaro avrebbe inforcato gli occhiali da sole stavolta.
Infine prese il suo cuore. Lo portò sul letto. Lì si sentì mancare.
Svenne.
Icaro volava via.

Dubbi?  Sulla mia sanità mentale ovvio! 
Scherzi a parte, vi è piaciuto? Attendo commenti :* 
Vestra, Ivy

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